Secondo episodio sulla lunga distanza per i Tilak. Riduttivo sarebbe parlare di world music o di genere etnico, perché se è vero che molte e variegate sono le influenze ‘geografiche’ cui il quartetto è sottoposto - tanto che le lingue impiegate nel disco spaziano dall’italiano all’inglese (brani tratti da Byron), dal greco all’assiro (brani estratti da un poema epico) -, in realtà siamo in presenza di una miscela in cui dominano suggestioni indiane, con l’uso ricorrente del sitar e delle percussioni tradizionali, su un impianto generale a volte vagamente fusion, il tutto sapientemente vivacizzato da pattern ritmici drum&bass e da un utilizzo non eccessivo, ma sempre importante dell’elettronica.
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